
Anno 1981. Voglio iniziare da qui, da un periodo fondamentale per la mia crescita sportiva, dal cosiddetto “salto di qualità”. Era da circa un paio d’anni che mi sentivo “perso” per la pesca in apnea, i miei mentori erano i fratelli Bonassi, titolari di un negozio torinese di attrezzatura subacquea, nonché bravi agonisti: soprattutto il più grande, Paolo, era un garista a livello nazionale ai tempi di fuoriclasse come Scarpati, Santoro, Toschi, ecc. Mi ero avvicinato al punto vendita nel dopo scuola, tra i quindici e i sedici anni, l’intenzione era quella di trovare un lavoretto, racimolare qualche lira per togliermi i capricci da giovanotto. Il che era abbastanza faticoso, fare lo studente/lavoratore non era uno scherzo, ma avevo la testa dura e soprattutto una curiosità fortissima. Da cosa nasce cosa, fui assunto come commesso il pomeriggio, il mattino frequentavo le superiori, e ben presto tra la vendita di pinne e fucili, maschere e mute, accessori e manutenzioni mi “ammalai” anch’io, contrassi il virus che a trentacinque anni di distanza ancora mi tormenta…Nel mese di maggio del 1981, per l’appunto, conobbi in negozio un cliente speciale, un personaggio incredibile, il signor Pier. Una persona di una certa età ma dinamica, giovanile, effervescente, inserita nel mondo delle gare automobilistiche, squadra Osella Corse. Dopo qualche tempo ritornò al Punto Sub e mi fece una richiesta insolita: mi prospettò di affiancarlo nella conoscenza della pesca in apnea approfittando di una vacanza in Corsica, insieme alla sua famiglia. Ospite a tutti gli effetti. La proposta mi allettò enormemente ma al contempo mi preoccupò non poco: che invito, che impegno, che responsabilità dovevo assumermi! Ero un ragazzino di diciotto anni, appena compiuti! È vero che vissi i due anni precedenti a pesca con i miei datori di lavoro, tanisti sfegatati, più che altro a fare da barcaiolo in lungo e in largo attorno alla Sardegna, per interminabili estati, ma non mi sentivo assolutamente pronto per un compito così ardito. Fui ricontattato e dopo qualche reticenza presi coraggio e accettai, spinto dal grande desiderio di visitare la Corsica, e mosso dalla realtà di vedere effettivamente cosa sapevo fare sott’acqua. Nel borsone riposi la mia prima muta, una fiammante e “sudata” Cressi Gara in neoprene Rubatex G231, la maschera Piuma, e due nuovi pneumatici, tutto frutto del divertente lavoro in negozio: un corto 55, e un fiammante 95, oltreché l’amato 70, quello che usavo abitualmente, tutti SL della Cressi Sub. Le pinne erano le prime Hughes Dessault-Sporasub, a pala lunga intercambiabile di plastica rossa, una novità per il periodo. Mi imbarcai nella roulotte con l’intera famiglia di Pier, da Savona, e sbarcammo a Calvi, nord della Corsica, metà giugno. Ci fermammo in un campeggio posto a qualche chilometro a sud, un aranceto immerso nella profumata “macchia corsa”, e l’indomani ebbi il battesimo con il mare dell’isola. Devo svelarvi che presi veramente sul serio il compito di “istruttore”, forse più per me, per una crescita personale, che per Pier, a dirla tutta! Volevo vedere, rendermi conto di cosa avevo appreso nelle peregrinazioni mediterranee del biennio precedente. Il mare era un po’ mosso ed io, abituato più che altro al bassofondo torbido della Liguria di Ponente, rimasi sorpreso dalle onde e dall’acqua con risacca che però restava pulita! Approfittando di un miglioramento nel primo pomeriggio prendemmo il largo sulla lancetta di Pier, uno scafo di alluminio leggero e motorizzato da un piccolo fuoribordo. Raggiungemmo uno grosso scoglio staccato dalla costa e dopo aver ancorato a ridosso ci buttammo. Dopo qualche tuffo di studio capii di essere finito in una sorta di acquario. La Corsica dei primi anni ottanta, in realtà, era quasi tutta così! Nella risacca vidi occhiate, saraghi, orate, barracuda, dentici, ricciole. Tantissimo pesce! Ero tremendamente eccitato, non avevo mai visto tanto pesce così in vita mia, e al libero! Io che passai due lunghissime estati, ‘79 e ‘80, tre mesi ognuna, a vedere e imparare a pescare esclusivamente in tana! Impugnavo il mio fedele SL70, il primo fucile ricevuto per regalo dai miei, e in quelle condizioni di limpidezza potevo fare ben poco. Ma non si trattava solo di un problema di un’arma dalla lunghezza operativa incongrua: la verità era la mia testa che non riusciva a trovare il bandolo della matassa! Sparavo in ritardo, sbagliavo mira, calcolavo male i tempi, insomma un disastro! Poco distante mi seguiva Pier, non stavo certamente dando una bella immagine. Che magra figura! Ritornai alla barca, e presi il nuovo SL95. Ma anche con “il lungo”, che peraltro faticavo a caricare, padellai nuovamente una serie incredibile di pesci. Per fortuna, prima di arrendermi, arrivò a tiro un denticiotto, e lo presi! Un aspetto con il corpo ben nascosto, un po’ più di autocontrollo e meno agitazione psicomotoria, e lo misi in sagola. La verità è che l’avrei colpito anche con il settantino tanto mi venne vicino. Comunque fu il mio primo dentice! Ma per il resto débâcle totale, quasi un cappottone. Ritornammo in campeggio, ero affranto, se questo era il battesimo chissà come sarebbe andata avanti la vacanza… La sera mi passarono davanti tutte le storie che avevo sentito raccontare in negozio, gli insegnamenti dei miei maestri, il loro modo di agire, le letture: insomma un pot-pourri bestiale, un’accozzaglia di concetti da mettere in pratica. E velocemente, se non volevo mandare in aria il breve soggiorno corso. Notte agitata. Non persi tempo, il mattino seguente, di buon’ora, mentre sistemavo il carichino per il 95, con una piccola prolunga in sagola per poter manovrare meglio l’asta in compressione, vidi Pier alzato: gli proposi di uscire nuovamente. “Magari ci sarebbe andata meglio” gli dissi con sguardo fiero! Non se lo fece dire due volte, il “ragazzo”, trasudava passione bestiale da tutti i pori! Prendemmo l’acqua da lì a poco, mare calmo, liscio come l’olio. Puntammo l’isoletta ma una volta giunti sul luogo trovammo una situazione completamente differente dal giorno precedente: niente mosso, niente corrente, poco pesce. Un po’ di sconforto mi assalii ma messi in atto tutta l’energia che avevo dentro, e non mi persi d’animo. Ricordai una dritta che i fratelli Bonassi mi diedero: “Quando vedi una punta a riva spesso, fuori, ci sono rimonte, secche o semplicemente dorsali che sprofondano. Vale la pena di controllare”. Pier come barcaiolo era attento, vigile; sott’acqua doveva imparare quasi tutto, anche la tecnica di discesa ma nonostante fosse parecchio più anziano di me dimostrava una grinta e un impegno invidiabili. Insieme provammo ad allargarci, a vedere se la franata che si staccava dal pietrone fosse davvero continuata più al largo. La trasparenza del mare faceva un po’ impressione ma affascinava, si vedeva ogni pietra anche in profondità. Dal punto di vista dell’allenamento mi sentivo in gran forma anche perché passavo tutto l’anno in piscina e quando potevo mi recavo in Liguria a pescare con gli amici. Poi, soprattutto l’anno precedente, sulla secca di San Teodoro, poco sotto Olbia, le mie guide mi avevano fatto scendere per alcuni giorni costantemente oltre i venti metri di quota, raggiunti con progressività, certo, ma si trattava di una quota estremamente fonda per un ragazzino di diciassette anni. Mi ero trovato bene, mi sentivo sicuro, non avevo mai passato i limiti. Finimmo dopo alcune centinaia di metri in un letto di posidonia, posidonia in ogni dove, verde dappertutto. Pier mi spronò a insistere, a vedere se trovavo qualcosa. Mi concentrai, cercai di rilassarmi e con voli di planata a mezz’acqua seguii una sorta di cigliatina, un leggero sbalzo del fondale. Ad un certo punto mi parve di osservare qualcosa di strano in punto del ciglio che sprofondava un po’ più deciso. Preparai il tuffo con calma e poi scesi con il mio 95, verso una macchia scura ondeggiante. Man mano che passavano i metri la situazione si fece un po’ più chiara. L’area scura si materializzò in un brulichio di corpi scuri e argentei, una palla enorme. Un branco di corvine e saraghi immenso, li stimai un centinaio, forse erano il doppio, non so dirvelo esattamente! Un tripudio di code e di musi incredibile! Strabuzzai gli occhi, non sapevo cosa fare, come comportami! Agii cercando di non alterare lo spettacolo, non turbare l’atmosfera per decifrare meglio la cosa; d’istinto mi appoggiai a circa quattro/cinque metri da tre grandi lastre che si sovrapponevano appena, quasi coperte integralmente da vegetazione, e mi godetti la scena. Un posto meraviglioso, quasi nascosto dalla superficie ma molto più chiaro se osservato di lato! Davanti a me un’apertura di forma triangolare, abbastanza stretta al vertice e poco più ampia alla base, dove facevano carosello, in entrata e in uscita, decine e decine di pesci, una processione! I saraghi non erano moltissimi ma tutti padelloni enormi, vecchi; c’erano soprattutto corvine, corvine che facevano paura per le dimensioni e per il numero! Mi tremavano le mani, ero in confusione… Riemersi staccandomi piano piano dal fondo, la batimetrica era intorno ai diciannove, venti metri. Chiamai Pier e gli dissi di ancorare a una certa distanza, e poi di venire a vedere cosa avevo trovato! Mentre attendevo che il battito cardiaco tornasse regolare pensai a una strategia, al da farsi. Una zona simile andava disturbata il meno possibile, tutelata per poter prelevare qualche pesce ogni tanto, ipotizzai subito, questo era un posto vergine, mai visto prima da nessuno! L’idea di fare uno scempio non mi è mai appartenuta, il compito che avevo era quello di organizzare una bella grigliata con tutti gli amici italiani del campeggio! Appositamente non presi i fucili corti che mi avrebbero offerto un notevole vantaggio nell’esplorazione. Rifeci il tuffo un po’ più concentrato e quando arrivai in prossimità delle lastre ritrovai i pesci tranquilli. Ero a distanza di tiro, appostato davanti all’apertura, avevo le corvine che mi puntavano, poi saraghi che incrociavano le traiettorie! Posi l’SL 95 con asta da 8 e arpione in mira e attesi che almeno due pesci si sovrapponessero, due bei pescioni. In realtà c’era la possibilità di fare almeno tripletta se non quadripletta ma mi posi un obiettivo singolo e mi concentrai solo su quello: la stessa metodica che attuavo nell’Imperiese quando durante l’autunno mi arrivavano a tiro i branchi di cefali dorini. Premetti il grilletto su un sarago dichiaratamente oltre il chilogrammo di peso e subito dietro centrai un corvinone alto una spanna. Doppietta! Recuperai più in fretta che potei il filo, l’asta, e i due pesci, che strinsi forte al petto. In quel momento, come in un flash, mi tornarono alla mente le parole dei miei maestri che mi dicevano di non fare troppa confusione e polverino dopo la cattura, con l’obiettivo di tranquillizzare il branco, ma con gli occhi ben aperti per studiare la tana e poter effettuare un nuovo prelievo. Restai fermo, immobile, e dopo qualche attimo ecco che il gruppo immenso di corvine ritornò fuori dal buco e letteralmente mi avvolse. Con sorpresa scorsi che altri pesci, una moltitudine, proveniva anche da sopra, da un foro tra lastra e lastra! Dedussi, quindi, quindi che esisteva una seconda apertura a camino! Risalii pinneggiando verso la luce viva, e quasi mi prese un accidente quando vidi Pier poco sopra la mia posizione! Era sceso sui 13/14 metri, per la prima volta! Si era goduto parte della cattura, visto bene cosa è successo, come mi ero appostato, la rassegna di pesci che si è presentata davanti al mio fucile, o meglio dire di fianco e sopra! Gli feci i miei complimenti ma gli dissi anche di non esagerare, di non forzare l’apnea perché era pericoloso, bisognava imparar per gradi, non avere fretta. E che diamine! Pier aveva gli occhi nella maschera che luccicavano, e anch’io mi commossi un pochino…
Inutile dire che la giornata si concluse nel migliore dei modi, non catturai altri pesci, rilevai invece i punti a terra, un’operazione che avevo imparato bene, e insieme a Pier la memorizzammo per non perdere il riferimento. Ci saremmo tornati l’indomani in quel posticino magico, tranquilli…. Arrivammo sulla spiaggia di ciottolato con una gioia incontenibile, fummo accolti festosamente dai nostri amici Gian ed Elena; da Sergio e Delia; dai ragazzi di Pier, Annalisa e Alessandro, la loro mamma Anna e dalla nonna Romana; da Carlo e Raimondo, Vittorio e Paola. Insomma, un successo inaspettato! Il ghiaccio era rotto! Di sera tra una spaghettata e un assaggio di pesce fresco (il saragone fu cucinato in maniera sublime da Sergio, all’acqua pazza), ci conoscemmo tutti meglio, ed io mi sentii perfettamente inserito nel gruppo con il ruolo di: procacciatore di pesce!
E la tana miracolosa? Beh, fu visitata altre volte, conosciuta in ogni angolo, mi permise di fare dei bei carnieri per la gioia dei commensali ma ogni volta la ritrovavo come l’avevo lasciata, un piccolo paradiso subacqueo. Intorno al 10 luglio feci ritorno a Torino, dovevo partire militare a giorni! Ma quel posto magico, mi riservò nuove avventure, una particolarmente dura proprio quando tornai in Corsica per un pre congedo inaspettato e molto gradito nell’anno seguente, che avrebbe potuto cambiare radicalmente la mia esistenza terrena.