
SIFNOS e SERIFOS 1986. La pace assoluta. 10° episodio.
Nel nostro peregrinare tra le magnifiche isole Cicladi i mesi passarono in fretta. Poco prima di ottobre, dalla spettacolare Milos prendemmo il traghetto per Nisos Sifnos, un posto che ci avevano descritto un po solitario, poco frequentato: definizione mai così ferrata, e ottimistica. L’intenzione, poi, era quella di fare una capatina anche sull’isola vicina, Serifos. Avevamo sempre con noi la preziosa cartografia nautica, quella dell’Ammiragliato Britannico, cartine fotocopiate e poi poste tra due fogli di plastica trasparenti che ci portavamo pure in gommone, con una squadretta per studiare e scovare le zone più interessanti. Devo rivelarvi che Luca ed io, alla vista di ogni mappa, sognavamo, eravamo eccitati e ansiosi di vedere cosa si riscontrava sott’acqua, se le stime erano giuste; solitamente ci “prendevamo” pur non dotati di ecoscandaglio, GPS. Mentre stazionavamo sul ponte del ferry boat diretto a Sifnos consultammo nuovamente le mappe e ci colpì soprattutto la profondità, le quote batimetriche abissali che lambivano le coste. Poche secche, tante pareti praticamente a picco, ma adocchiammo anche dei posticini sparsi nel periplo dell’isola che promettevano grandi incontri tipo orli che da meno di nove scendevano a cento e passa metri, salti nel blu da brivido! Siti con caratteristiche che nelle altre isole dell’arcipelago ellenico ci aveva regalato visioni e catture memorabili. Insomma anche in quest’isola dalle alte montagne, dalle rare spiaggette ma da una natura quasi incontaminata e dalla ridottissima presenza umana potevamo trarre grosse soddisfazioni! Sul finire di settembre ci rendemmo anche conto che il famigerato Meltemi, vento incessante da mattino a sera che ci aveva impedito spesso di battere i versanti esposti a nord, nord est iniziava a scemare, a non manifestarsi giornalmente. Ciò ci fece sperare di poter pescare senza patemi d’animo con il nostro 3.10 Mirage. Goduria assoluta. E così capitò.
L’arrivo a Sifnos. Giungemmo di pomeriggio a Kamares, il porto principale dell’isola. Una profonda insenatura naturale ridossata ai venti e al mare grosso. Non c’era quasi nessuno che sbarcò con la vettura, scendemmo in poche unità e anche sulla banchina non trovammo una moltitudine di gente. Che differenza rispetto le altre isole dell’arcipelago! Il paesaggio era abbastanza brullo, qualche casetta sparsa, ma si respirava un clima unico, nessun rumore, la pace assoluta… Tutt’intorno colline, montagne abbastanza alte che però in alcuni tratti scendevano dolci al mare. Ci fermammo nei pressi di una taverna in riva a una spiaggetta, ci stiracchiammo e sgranchimmo le articolazioni, successivamente chiedemmo informazioni per raggiungere il versante opposto di Sifnos. Avevamo deciso di scegliere come d’abitudine il lato a ridosso dell’isola per scongiurare il vento diretto. Il gestore, comprese le nostre intenzioni, ci indicò il villaggio di Faros. La strada in salita ci permise di giungere nei pressi di Apollonia e poi, giù da un percorso quasi in sterrato puro, tortuoso, verso la località di Faros. Strade polverose e ogni tanto qualche gregge di capre a fare da contorno. Restammo meravigliati alla vista dell’insenatura, dalla spiaggia abbastanza grande con qualche casetta abbarbicata sulle colline circostanti. Macchie di vegetazione mediterranea a colorare l’ambiente, a differenza di distese brulle che avevamo incontrato nel tragitto. C’era qualche rara barca di pescatori alla fonda, mare calmissimo, e trovammo ospitalità presso una gentile signora che affittava un paio di camere semplici e pulite. Non c’era molta scelta in quel di Sifnos a dire il vero ma fummo fortunati. Pattuimmo la cifra della locazione, irrisoria visto anche che il periodo estivo volgeva a termine, e poi corremmo alla spiaggia per vedere dove lasciare il gommone. Trovammo un angolino e in serata, prima del ritiro, avevamo già preparato il Mirage. Cenammo benissimo, cibo genuino e fresco tra cui del formaggio di capra delizioso e dei pezzi di agnello ottimi, e poi a nanna…pronti per il giorno seguente.
Le uscite in mare. Come potete osservare dalla cartina nautica, attorno al nostro punto di partenza si snodavano dei percorsi altamente suggestivi sia puntando verso nord sia dirigendosi verso sud. La mattina ci alzammo di buon ora. Col passare dei mesi vissuti in Grecia ci accorgemmo che le giornate si facevano sempre più corte e l’unica strategia che fruttava era quella di partire presto al mattino per godere degli spettacoli più belli. Il calasole era comunque un altro momento clou ma il tramonto non era più alle ventuno e passa di sera… A nord, a pochi minuti di navigazione, trovammo la morfologia classica di Sifnos, cadute e franate nel blu, spettacolari! Nei pressi di akrotiri Eftamàrtiros (abbarbicata sul capo una chiesetta bianca denominata appunto sette martiri) battemmo tutta la zona e ci accorgemmo che nella quiete assoluta, non c’era una barca in giro, tra le creste rocciose che s’inabissavano c’erano diversi serranidi, grossi dotti! Poco più in giù un secondo capo, akrotiri Nàpos, con gradinate incredibili che a poche decine di metri da riva sparivano a oltre cento metri di fondo. Dovemmo fare i conti con la corrente in un paio di giornate ma il carosello di palamite e ricciole che osservammo qui mi è rimasto impresso, lo ricordo bene ancora oggi! Progredendo verso sud c’erano un paio di belle calette con il fondo di sabbia e posidonia e in ogni caso la trasparenza dell’acqua era strepitosa. La profondità era minore ma non per questo incontrammo itinerari sterili: avvistammo bei branchi di cefali, saraghi, tanti, e una limpidezza eccezionale che ci permetteva di individuare dalla superficie le lastre migliori. Selezionammo le catture e tornammo alla base con lo spirito a mille! Qui a Sifnos il tempo scorreva lento, davvero! Dopo un primo giorno di valutazione sommaria concentrammo le nostre uscite all’estremo sud dell’isola e finalmente trovammo dentici, grossi! Tra akrotiri Kondós e l’isola di Kitraní, all’esterno di questa un posticino da cardiopalmo con una serie di massoni svettanti intorno agli otto/dieci metri e poi, tutt’attorno una caduta impressionante. Scovammo anche la secchetta, un’altra zonetta di rimonta colonizzata da branchi di mangianza assurda che da circa otto metri precipitava nel blu più imperscrutabile. Verso terra sabbia lastre e alghe, con sparidi che s’intanavano senza dare l’impressione di essere spaventati. Il tutto vicino a casa! Passammo a Sifnos, pure qui, momenti indimenticabili. Catturammo di tutto e graziammo una serie di cernioni enormi perché avevamo saturato di pesci la nostra padrona di casa che peraltro era la moglie di un pescatore! Perfino lui era stupito dal pesce che gli portavamo ma fu gentilissimo a procuraci la benzina per il fuoribordo e a indicarci i posti migliori. Già anche qui non c’era un distributore di carburante e quindi si doveva centellinare la miscela prestando attenzione e non esagerare con i giri motore, a ottimizzare i percorsi. Ci eravamo procurati una tanica e quando “arrivava” la broda con il traghetto facevamo doppio “rifornimento”. Sembra impossibile ma la Grecia, le Cicladi di quel periodo non erano tutte turistiche. E come scritto in altri Amarcord quando sbarcavamo nei porticcioli la nostra Fiat Uno 45 ES era la sola autovettura privata che c’era. Pareva davvero di essere fuori dal mondo, una meraviglia assoluta comunque. Nelle settimane successive ci spingemmo a nord sfruttando l’assenza di vento, l’isola era estesa in lunghezza, non facemmo il periplo completo, non ce ne fu bisogno. Vedemmo posti incantevoli con baie e golfi, insenature con acqua trasparentissima e pulita, praticamente incontrammo solo una barca a vela di turisti, e un paio di gozzi in legno di pescatori, pochi per non dire praticamente nessuno. Pesce sempre tanto, ma dovemmo limitarci per forza di cosa, una pratica che ci permise di pescare con la massima rilassatezza e soprattutto selezionando le catture emozionanti come in una serata magica in cui per aspettare e colpire un dentice enorme graziai una ricciola su una cinquantina di chili che ferma in corrente mi fece andare in frenesia emotiva, di perdere la ragione… La fine dell’estate in questa Grecia splendida, in quest’isola vera, sincera, ci permise di rilassarci, di ricaricare le pile. In questo indimenticabile 1986 le emozioni vissute, metabolizzate pareva non avere fine. Ci sentivamo talmente bene che questo abbraccio di natura incontaminata penetrava diretta nell’animo, e ci appagava totalmente.
Nísos Serifos. Decidemmo di spostarci dopo circa tre settimane di divertimento, prendemmo il traghetto la prima settimana di ottobre, da Sifnos facemmo scalo a Serifos, un’altra isoletta incantevole poco distante ma differente come morfologia rocciosa. Prima di attraccare nel golfo di Livádhion notammo l’alta montagna che si stagliava tra nubi bianche e cielo limpido, con il paesino ai piedi di colline di roccia rossastra. Appena sbarcati ci rendemmo conto, presto che non c’erano molte strade percorribili con la nostra vettura, ci voleva un trattore per inerpicarsi nei sentieri abbarbicati tra le rocce quindi optammo per fermarci in una località a sinistra della banchina, un paio di chilometri, e arrivammo in vista di un’insenatura graziosa, con un manipolo di casette, non lontani da un villaggio chiamato Koutalás. Chiedemmo a un paio di persone e trovammo alloggio anche in questo sito: ospitalità in case di pescatori adattate allo scopo, null’altro. Spiaggetta quasi davanti a casa, e Mirage tirato in secca, placido, pronto per uscire in mare. Pensate che lasciavamo il serbatoio, parte dell’attrezzatura sub dentro il battello e nessuno toccava nulla, non è mai sparito un solo pezzo! Il mattino di buon ora facemmo una lauta colazione con profumatissimo pane cotto in forno di casa, un ovetto, un pezzo di formaggio caprino e miele locale, poi prendemmo il largo. Puntammo verso nord approfittando di uno stato di bonaccia e dopo la nostra insenatura se ne aprì una seconda, molto particolare, e profonda. Sulle pareti della montagna i segni, pesanti, dell’attività mineraria con ancora una specie di passerella in ferro completamente arrugginita protratta sul mare che doveva servire per trasportare il minerale ferroso all’interno delle stive. Attività estrattiva che era terminata definitivamente una quindicina di anni prima. Il versante attorno percorso da evidenti lavori, vari reperti abbandonati tra i resti delle case dei minatori, e di alcuni palazzi dei padroni, parecchi ruderi. Serifos offriva l’impressione di essere brulla, senza praticamente vegetazione, roccia rossa. Proseguiamo oltre e la collina che degrada abbastanza dolce in mare mostra pietra chiara. Ancoriamo nei pressi del golfetto di Avesalós poiché facendo paperino siamo finititi in una zona con sassi tra sabbia e alga. Un sorvolo e sotto una serie di lastroni vediamo imbucarsi una moltitudine di saraghi! Che battesimo, ragazzi! Scendiamo con i Cressi Sub SL 55 e 70, nell’affacciarsi qualche bel pescione ci sbatte quasi nella maschera, ce ne saranno un centinaio! Facciamo qualche tiro ai padelloni più vicini, ne fiociniamo sei o sette da chilo e oltre, poi decidiamo di lasciare quella tana ricchissima, tanto per mangiare e regalare ne avevamo già a sufficienza. Nessuna carneficina, per farla breve. Luca ed io eravamo in totale sintonia, ultra allenati e presi quei saragoni eravamo appagati, divertimento rispettoso dell’ambiente, uno stato di beatitudine difficilmente descrivibile. Eravamo felici, pareva di rispondere ad un richiamo ancestrale senza fine, senza condizionamenti di sorta, al limite della cosidetta civiltà erudita contemporanea. E le catture selezionate avvenivano soltanto per puro divertimento. Navighiamo lungo costa come esploratori, nessuna barca qui a Serifos, ancora meno gente rispetto a Sifnos, incredibile! La sera grande festa con il pesce, facemmo amicizia con dei locali cortesi e gentilissimi, ospitali, e uno di questi nei giorni a seguire ci invitò a casa sua, faceva il pastore. Ci donò latte di capra, ricottina, formaggelle; noi ci sdebitammo con un paio di dotti già puliti e con un bel denticione preso al calasole fuori da uno scoglio chiamato nisos Mikronísi, davanti a casa. Un paradiso autentico. Nel corso della settimana puntammo verso il lato opposto, prima verso sud, poi a risalire l’isola dalla forma abbastanza rotondeggiante. Ci fermammo una giornata intera attorno all’isola chiamata Voùs. In pratica una roccia enorme che emergeva dagli abissi. All’esterno non c’era possibilità di vedere neppure il fondo, caduta verticale a oltre novanta metri di batimetrica, ma invece verso nord si poteva trovare una scogliera che degradava dolce, comunque sempre fondo, ma pescabile. Prendemmo dei grossi barracuda e anche qui scovammo un bel brancone di dentici. Insomma, senza allontanarci troppo avevamo scovato e battuto itinerari strepitosi. Un’isola abbastanza vicina al porto del Pireo ma non tanto frequentata, in definitiva, fuori dalle rotte canoniche dei turisti. E a pensarci oggi faccio fatica a credere che su queste isole c’erano posti quasi disabitati, nessuna strada asfaltata, un mare non sfruttato, una natura selvaggia da rispettare a nostra totale disposizione. Cercammo un posto che avesse un telefono fisso, ogni tanto eravamo soliti effettuare chiamate a casa per rivelare che tutto procedeva per il meglio, non c’erano problemi. Luca chiamò a casa una sera, il papà era piuttosto anziano e sua mamma gli disse che non stava bene, era ricoverato in ospedale, per precauzione. La nostra vacanza fu interrotta brutalmente da questa notizia inattesa e terribile. Decidemmo così di far rientro a casa, in Italia. Era novembre inoltrato, ormai. Avevamo trascorso mesi e mesi a pescare, a divertirci come non mai, una storia che pareva non aver fine. A Serifos terminammo la magnifica avventura del 1986. Negli anni a venire altra Grecia, altre isole da scoprire, tanti pesci, ma quella lunghissima ed epica vacanza Luca ed io non ce la siamo mai più scordata, è rimasta impressa a fuoco sulla pelle arsa dal sale e dal sole, abbiamo vissuto giorni davvero unici, indimenticabili.
