
I branzini liguri, anno 1987 dodicesimo episiodio.
L’esperienza della lunghissima vacanza in Grecia era vivissima nel mio animo, una sorta di imprinting che mi aveva stregato e fatto innamorare della pesca subacquea in modo sfegatato. Sembra strano ma per un Torinese, distante dal mar Ligure circa 150 km, il mare esercitava un fascino incredibile, superiore a tutte le altre passioni che un giovanotto di 24 anni poteva avere. Forse saranno stati i geni genovesi trasmessi da mio bisnonno, fatto sta che non appena potevo godere di qualche giorno libero dal lavoro partivo alla volta della costa di Ponente, in Liguria. In tutti i mesi dell’anno, soprattutto quelli autunno/invernali.
Una pratica che comunque era iniziata alcuni anni prima quando i miei amici torinesi, tutti qualche anno più anziani di me mi portavano in macchina a pescare. Ricordo che nel 1982 ero militare a Fossano (CN) e Claudio, Gino, Mauro e Roberto in tanti fine settimana quando avevo la licenza di libera uscita passavano davanti alla caserma con la Fiat 127 e si andva giù al mare! Mauro aveva un alloggio a San Bartolomeo a Mare (IM), disponeva di un gommone Zodiac e siamo usciti anche qualche volta in barca, sempre nella stagione autunno/invernale, comunque. Le risate a non finire, il divertimento sempre assicurato, episodi indimenticabili, che anni felici! Pescate di tanti enormi polpi, insieme soprattutto ma poi iniziai a catturare i branzini con la tecnica dell’aspetto. Presi la patente anch’io nel 1983, come gli amici che mi scorrazzavano su e giù tra Piemonte e Liguria.
I miei genitori avevano acquistato a fine anni 70 un piccolo appartamento nel Savonese e come base per le mie “incursioni” stagionali sfruttavo l’alloggio. Ma qualche volta, lontano dall’abitazione ci si arrangiava, si cercavano ripari occasionali per cambiarsi o mettersi la muta, il momento più critico. I più comuni erano gli androni dei condomini, se suonando tutti i campanelli c’era qualche anima pia che ci apriva il portoncino era il massimo perchè ci si vestiva o svestiva al riparo completo del vento ma ricordo una volta che, con un freddo becco, e tutto gelato dovetti cambiarmi dentro una cabina telefonica! I periodi migliori erano l’autunno, l’inverno, la tarda primavera, l’ideale per non perdere l’istinto, l’attitudine al tiro, soddisfare le pulsioni sportive. Quindi alternavo le nuotate in piscina, due tre volte la settimana con gli amici del Circolo Subacquei Piemontesi, e poi il week end disponibile, o il paio di giorni accumulati con le turnazioni in ospedale per viaggiare con la mia Fiat Uno 45 ES alla volta di Loano, Borghetto SS, Ceriale, Alassio, tutto l’Imperiese, sino al confine di Ventimiglia. Obiettivo i branzini (spigole), l’unica specie ittica degna di attenzioni venatorie che si poteva incontrare con regolarità durante l’inverno.
Con i branzini personalmente ho avuto un “battesimo” che reputo straordinario perchè a fine giugno del 1978, a inizio vacanza con i miei, appena quindicenne, riusciì a catturare un magnifico pescione, il più grande che avessi mai visto e immaginato in vita mia! Ero uscito e rientrato in pullman a capo Mele (SV), con il mio inseparabile settantino ad aria, il Cressi SL allestito con asta da 8 mm e con 5 punte di ferro zincato. Sotto il capo tra i massoni spuntò questo enorme predatore, io ero appostato all’aspetto e lo presi sul testone a breve distanza. Fulminato! Una gioia e una soddisfazione incredibili! Da quel giorno questa specie ittica mi affascinò e fu l’obiettivo di quasi tutte le uscite in Liguria anche da grandicello. La logistica, e l’organizzazione di ogni pescata era particolare. Per non fare uscite a vuoto, a esempio, mi ero fatto amico un edicolante vicino la passeggiata a mare di Andora e prima di partire gli telefonavo per sapere come era lo stato e le condizioni meteo marine. Previsioni tipo le web-cam odierne… Di solito le informazioni erano perfette salvo quella volta, primi giorni di dicembre, quando accadde il fattaccio. La sera prima della pescata chiesi: -Il mare è bello, leggermente mosso? Come piace a me, come se “bollisse”?- Attilio mi confermò che c’erano condizioni ideali, mare leggermente sbuffeggiante, dighe a protezione delle spiagge appena lambite dalle onde, un po’ di schiuma tra una diga e l’altra. Insomma, la “bollitura”, quella situazione con mare appena mosso e onda corta che poneva le basi per le pescate più prolifiche! Preparai il borsone, presi il mio fedelissimo SL 95 con asta da 7 mm e partii di buonora alla volta di S. Lorenzo al Mare. Arrivato sui viadotti dell’Autostrada dei Fiori, Savona-Ventimiglia, mi accorsi poco prima di arrivare in loco che il mare era di un colore strano. All’orizzonte un bel blu ma a qualche centinaio di metri dalla costa una variazione progressiva su tonalità senape marroncine, per non fare altre similitudini organiche. Uscii al casello e mentre effettuavo le curve fui preso da un profondo scoramento. L’acqua era color caffellatte per una fascia ampissima di litorale. Forse di notte era cresciuto il mare, forse un giro di corrente. Boh? La realtà fu che trovai condizioni al limite, direi impraticabili. Che fare? Tornare a casa, rifare tutti quei chilometri senza bagnare neanche la muta, le pinne? Giammai! Mi vestii al riparo di un androne, presi il pneumatico e scesi in acqua con la speranza che magari tra una scogliera e l’altra ci fosse un posticino con un briciolo di visibilità. Provai a pescare, a dire il vero senza eccessivo “ardore”. La temperatura del mare si faceva sentire a lato della maschera Cressi Piuma, sulla pelle del viso, freschina. Mi diressi verso i passaggi tra un molo e l’altro. L’acqua era torbidissima, oltretutto piena di posidonie morte in sospensione. Una catastrofe…Eppure la voglia, l’impegno, erano una costante per il sottoscritto. Dopo i primi minuti di sconforto cercai di non perdermi d’animo e in uno degli aspetti fatti quasi controluce mi sembrò di udire una scodata, o forse un colpo d’onda, di veder transitare nel torbidume un qualcosa di animato, una sagoma diversa dai milioni di pezzetti d’alga nera sospesi nella fanghiglia. Pensate che ero costretto a mantenere il 95 con la volata poco distante dalla maschera nel tentativo di vedere almeno la punta dell’asta. Una scelta pessima, quella di portarmi appresso solo un fucile: solitamente con poca visibilità scendevo a branzini con l’SL 70, o anche con l’SL 85 ma in quell’occasione non mi ero caricato in macchina nessun fucile in alternativa, di riserva. L’affidabilità dei pneumatici mi confortava da anni. Sbagliando si impara. Premetti il grilletto d’istinto, sparai alla cieca nella direzione in cui mi era parso fosse scomparso il “fantasma”, l’abbaglio. Era così alta la tensione che pensai seriamente di aver fatto un’enorme stupidaggine, di aver sparato inutilmente, di aver contratto il dito indice senza certezza del bersaglio. Presi in mano il nylon e lo sentii pesante, infatti raccoglievo sulle spire di filo un sacco di steli di posidonie. Ne salpai un tratto e mi resi conto che l’asta si comportava come un rastrello, chissà quante alghe morte avrei trattenuto prima di riprenderla in mano! E poi la tahitiana con la doppia aletta aperta era micidiale nel raccogliere posidonia. Con stupore mentre ero intento a recuperare l’ultimo spezzone di nylon e già pensavo a ripulire la linea di filo e l’asta scorsi un’enorme coda argentea spuntare all’improvviso, nella nebbia del fondale. Ohi, ohi, cosa sarà mai, mi chiesi? Pian piano seguivo il corpo dell’animale, le squame grandi come francobolli facevano presagire una bella bestiolina e infatti si materializzò alla fine del “tragitto” un bellissimo branzino! Dove lo presi? Ma spiedinato per lungo, perbacco! Lo liberai per bene dalle strisce nere, lo pulii e vidi che il codolo dell’asta era poco fuori dal troncone di coda. La punta fuoriusciva dall’occhio destro. Fulminato all’istante! Incredibile! Tornai a riva basito, felicissimo ma consapevole di aver avuto una fortuna bestiale, quella volta… Pesato a casa il primo branzino della stagione 1987 superò di poco i 5 chilogrammi.
Un altro episodio curioso si verificò qualche tempo dopo. Mi trovavo quasi al confine di Ventimiglia e optai di scendere in acqua da una spiaggia cosparsa di ciottoli. L’acqua era leggermente lattiginosa ma spesso, in quella zona, tra Sanremo e Bordighera, a esempio, scendevano dalla collina i rigagnoli di acqua dolce, numerosi i floricoltori che irrigavano le piante sulla collina a terrazze, e i cefaletti che si aggiravano numerosi attorni agli sbocchi a mare. Location fantastiche quando arrivava l’inverno. Con visibilità media alternavo sempre due pneumatici, un 85 e un 95, entrambi con aste da 7 mm terminate con coppia di alette contrapposte lunghe e fini. Avevo zavorra in cintura, cavigliere, uno schienalino artigianale sul modello delle “baudrier” che usavano i pescatori subacquei francesi nella vicina Costa Azzurra. Mi immergevo talvolta senza aver posti dove aggrapparmi, e in una di queste poste lungo spiaggia mi trovai al cospetto di due grossi branzini. Spuntarono decisi dalla sospensione lattescente, mi puntarono di muso e dopo un iniziale titubanza mi focalizzai solo su un esemplare. Non accennava a voltarsi e così, ben allineato con la volata dell’arma sul muso del serranide, decisi di sparare frontalmente. Un tiro che mi piaceva da impazzire, mi dava un gran gusto. Non so perché… A quei tempi non avevo ancora metabolizzato del tutto che bisognava curare il più possibile l’asta e la sua terminazione, lo scorri sagola, il filo per avere buone prestazioni senza esagerare con la precarica. Quindi con 25 atmosfere l’SL 95 esprimeva prestazioni a dir poco esuberanti, non aveva timore di nessun pesce di stazza. Il predatore scartò velocissimo e lì per lì pensai di averlo sbagliato clamorosamente. Il testone era di un branzino di almeno 4 kg, come avevo fatto a “ciccarlo” in pieno? Non avevo ancora terminato il pensiero negativo che il nylon strattonò. Allora non l’ho sbagliato? Una bagarre in superficie: scodate, tentativi di fuga, sciabordii, schiuma! E che diamine, un branzino così “elettrico” non mi era mai capitato di combattere! Forzai il recupero ma la reazione furibonda non terminava. Le tre passate di nylon si tesero, lasciai il 95 e recuperando il filo a due mani raggiunsi il pesce. Vivissimo! Ben presto capii cosa era successo. Il colpo frontale risultò così rapido che la spigola non ebbe neanche il tempo di voltarsi. L’asta passò da parte a parte la testa del branzino, penetrò sopra il labbro è usci sul lato della bocca, come fosse cucita. Non lesi organi vitali, infatti il branzino aveva cercato di scappare, avrei potuto liberarlo! Ma a casa la mia nonna Ortensia mi aspettava, il suo nipotino gli portava pesce fresco, che gradiva molto. Anche questo bel branzino finì nel carniere.
E negli anni a seguire dalla Liguria passai in Francia, altro posto fenomenale, poi in Corsica. Nell’isola, d’inverno, grandi pescate di spigole, ma non solo.
Bei tempi…
