
MILOS 1986. L’incanto. Nono episodio
Ci congedammo da Santorini quell’incredibile notte di inizio settembre, stavamo davvero bene su un’isola speciale, con peculiarità uniche, ma dopo qualche settimana di vacanza e tanti pesci e pescioni catturati in ogni caso il desiderio di esplorare nuove isole era sentita come un’esigenza improcrastinabile. Nisos Milos fu raggiunta dopo un percorso abbastanza lungo in traghetto e per la sveglia in piena notte, le vicesittudini intercorse non fu un viaggio molto rilassato. Qualche kirios ci aveva rivelato che la località era altrettanto spettacolare ma assai più quieta della “frizzante” e sciccosa Santorini ma finchè non arrivammo in vista del panorama mozzafiato non ci avevamo dato conto. Proprio così. Aggiungo che Milos non era tra le isole con il maggior livello di collegamenti nautici, anzi: era fuori dai percorsi abituali tra le Cicladi quindi, particamente solo chi la conosceva la raggiungeva. Nelle prime giornate di settembre le giornate iniziavano già ad apparire un po più corte, il sole tramontava prima all’orizzonte, l’acqua era calda anche in profondità, chissà cosa avremmo scoperto procedendo verso l’autunno in un’altra delle meravigliose isolette dell’arcipelago dell’Egeo. Quel giorno eravamo “cotti”, riversi sugli spartani divanetti dell’imbarcazione, esausti. Ma riuscimmo con la verve giovanile e la passione irrefrenabile a visionare e dare un’occhiata alle nostre cartine dell’Ammiragliato Britannico, le profondità marine espresse in braccia o piedi, ci rendemmo conto che anche a Milos c’erano tanti punti interessanti per immergerci. Si trattava di un’isola abbastanza estesa e quindi avremmo trovato sicuramente un buon lato non esposto al Meltemi, vento fastidioso e forte che iniziava a spirare al mattino per poi mollare la sera, una costante in estate e in tutta questa porzione d’Egeo meridionale. Mentre ci avvicinavamo alla nuova meta da lontano e poi arrivandoci vicino restammo sorpresi dalla bellezza di Milos, con la visione di scogliere alte di vario tipo, grotte, passaggi, un colore del mare blu intenso. Un incanto, uno spettacolo bellissimo anche qui. Sbarcammo dopo varie ore di traghetto e trovammo sistemazione in un paesino chiamato Apollonia, piccola cittadina posta verso l’apice nord dell’isola. Sin dal primo contatto ci rendemmo conto che i pochi turisti che la frequentavano non erano giovanissimi, molti erano Greci, e l’aurea del posto ispirava un qualcosa di speciale. Poco clamore, poco traffico, una pace incredibile. Santorini ad agosto era abbastanza visitata da parecchia gente ma qui pareva di essere finiti in un altra realtà, totalmente. E non era dovuto per il periodo, il mese di settembre, qui si trattava di un’ altra realtà poiché frequentandola capimmo che era meta di un turismo assai meno invasivo, “selezionato”. Il primo giorno, la mattina successiva al nostro arrivo e una notte di riposo strepitoso prendemmo visione delle costa. Ci spingemmo con la gloriosa Fiat Uno 45 ES tra strade bianche e polverose sin dove si poteva arrivare; il pomeriggio intraprendemmo l’esplorazione con un bel tragitto in gommone, senza fucili ne attrezzatura a seguito, ma stranamente con la reflex al collo e un sacchetto di nylon posto a protezione. Una semplice gita che mise in luce una terra vulcanica con diverse tipologie di ambienti, chiesette bianchissime incastonate sui fianchi delle colline, scenari naturali di raro e struggente fascino paesaggistico. Il tutto condito da un venticello che portava alle narici deliziosi profumi mediterranei e forniva sollievo dai cocenti raggi del sole. Che dirvi? Santorini un posto unico, certamente, ma anche Milos non scherzava! Ci colpirono al cuore alcune falesie bianchissime della costa sud, che ogni tanto lasciavano il posto a spiagge, insenature, calette da sogno, e grotte, moltissimi anfratti che penetravano all’interno di questi banchi rocciosi. A dirvi il vero certi scorci non parevano neanche posti mediterranei. E poi frane scure su sabbia che dal nostro battello si vedevano scendere nel mare con colori e nuance da brivido. Pochissime imbarcazioni locali, qualche raro velista all’orizzonte, sulla maggioranza delle spiagge constatammo che la gente che prendeva il sole si contava a malapena sulle dita di una mano. Forse ci trovavamo su una delle isole più “tranquille” di tutto l’arcipelago! Uno stretto ci divideva da due altre isolette poco distanti, Kimolos e Poliagos e dal tavolino di una taverna locale, la sera, un po stanchi, ancora, ci godemmo un tramonto spettacolare.
I fondali. Come potete notare dalla foto della cartina nautica, nel dettaglio, esplorammo gran parte di Milos. A iniziare da tutta la porzione sud, una costa non esposta al vento diretto di Meltemi e quindi affrontabile tranquillamente con il nostro gommoncino. Poi, in alcune giornate, il Meltemi non soffiava forte e quindi riuscimmo a battere il periplo di isolette a nord di Milos e di Kimolos, posti magici, unici. Infine si dimostrò ottima anche l’isola di Poliagos, ricca di cernioni, abbastanza ridossata al Meltemi grazie alla copertura offerta da Kimolos. Per il rifornimento di benzina qui non avemmo problemi, si trovava il carburante, per fortuna. E l’isola era dotata anche di aeroporto mi pare di ricordare. Sin dai primi giorni scoprimmo posti di pesca strepitosi. Usciti da una spiaggetta in cui lasciavamo il gommone, abbastanza vicina alla nostra stanza, raggiungemmo in pochi minuti di navigazioni una piccola isoletta nel canale, nisos Ay.Yeórios che dal lato verso nord presentava profondità non proibitive mentre sul versante opposto, verso sud e a poche decine di metri scendeva oltre i 50. Il sottocosta costituito da un misto tra alghe e rocce con tanto pesce bianco. Era ricco di saraghi, qualche corvina che insidiavamo con gli SL 55 e 70 ma a noi interessava altro e infatti lungo la dorsale verso l’interno del canale trovammo dotti, cernie, barracuda, ricciole, e dentici, tanti. Quel posto, caratterizzato da una chiesa, credo abitata da monaci, fu uno dei luoghi in cui ci divertimmo parecchio. Ci facemmo tanti tramonti, qualche rara alba, e ogni volta divertimento assicurato.
Altri tre posti incredibilmente prolifici dal punto di vista della popolazione ittica li potete notare osservando i circoletti fatti sulla cartina plastificata posti tutti a nord. Per nostra fortuna il Meltemi, come detto poc’anzi, a settembre non era più una presenza costante e fastidiosa, ogni tanto concedeva tregua e si poteva uscire con una certa tranquillità. Qualche giorno di bonaccia, o di vento a regime di brezza ci permise di battere l’esterno di Kimolos e precisamente una risalita rocciosa compresa tra capo (akrotiri) Petalidha e capo Monastíri. C’è una sigla che si nota appena, e che indica “den..”, si intuisce il perchè! A circa mezzo miglio di distanza ci fermammo al cospetto di uno scoglio affiorante con corollario di altre creste rocciose nel raggio di un centinaio di metri. Attorno il blu intenso della profondità ma anche un branco di dentici da infarto! Qui catturammo anche numerosi dotti sparando con l’SL 95 e avvistammo cernie enormi: non sparammo ai bestioni perché non c’era possibilità di mangiarle. Ma che spettacolo quella caduta a nord che si perdeva nel blu! Secondo hot spot, sempre abbastanza vicino al nostro punto di partenza, sulla sinistra di Pollonia, un isolotto meraviglioso di roccia basaltica, Kalóyeroi. Verso la costa batimetrica non impegnative, si pescava entro i 18/19 metri al massimo, mentre sul versante a nord le profondità cadevamo presto nell’abisso. C’era un passaggio dentro un grosso scoglio, rocce che sembravano matite affiancate, un panorama bellissimo. Anche qui molto pesce, e nessuno in giro! Sceglievamo a cosa sparare, e ci divertimmo un mondo! All’imboccatura della profonda insenatura di ormos Milou, fuori da akrotiri Lakídha, il terzo spettacolare itinerario: le due isolette di Akrádhia. La maggiore era coperta da rada vegetazione e partiva pianeggiante per poi alzarsi a qualche decina di metri dal mare. Roccia a tratti bianchi a tratti scura, con frane mitiche. La seconda più piccola a poca distanza dalla gemella, un po più brulla ma con il lato a ovest che dai 12/13 metri cadeva a 80 metri a poca distanza. Riuscimmo anche a trovare una secca, cappello a oltre 25 metri, con tanta corrente. Io e Luca pescavamo vicini e in un aspetto avvistai decine di dotti, subito dopo il mio compagno vide ferma nel blu una ricciola mastodontica, lunga e con il ventre scavato. La stimò una cinquantina di chili! In un’altra uscita un carosello pazzesco di grosse palamite e dulcis in fondo il transito di due tonni da quintale, minimo. Insomma dove ci immergevamo spettacoli da lasciare a bocca aperta, da infarto! Forse perché tutti questi posti esposti al Meltemi, in gran parte inaccessibili durante il clou dell’estate per il mare agitato, non riuscivano a batterli facilmente neppure i pochi pescatori professionisti presenti a Milos e così il pesce poteva riprodursi e vivere in santa pace.
Nei giorni di vento, invece, potemmo scorrazzare in lungo e in largo su tutta la costa sud. Devo confessarvi che spesso, visitando alcuni luoghi restammo incantati a guardare il panorama, con baie dove sembrava di sorvolare una lastra di cristallo a calette dai riflessi verdi e blu. Rocce di tutti i tipi, pareti che cadevano perpendicolari, altri capi con frane progressive su sabbia o che si perdevano a profondità inaccessibili per gli apneisti a poca distanza da riva. Un giorno portammo in mare un ragazzo figlio di un pescatore greco, un nostro coetaneo: si divertì moltissimo a farci da barcaiolo e così molto pesce lo donammo a lui, alla sua famiglia. Avevamo trovato un’amicizia vera e grazie alle informazioni che diede il padre, previsioni meteo marine, specie ittiche presenti, concentrammo l’azione su alcuni punti che si rivelarono molto fruttuosi come tutta la propaggine di akrotiri Psális, l’apice a sud/ovest di Milos, partendo dalla costa e battendo la secca fuori da nisos Paximádhi, un monolite bianco. Un posto paradisiaco! E davanti a tanti capi trovammo altri scogli affioranti, pietroni e formazioni laviche, poco più in fuori risalite, e tantissimo pesce. Le nostre esplorazioni erano un’alternanza di traino lungo e quando si trovava un’area interessante ancoravamo e ci pescavamo in coppia. Il nostro affiatamento, protratto ormai da mesi, era eccezionale e tante situazioni in cui ad esempio si doveva approntare una strategia si concordava insieme. Poi il grado di allenamento era così alto che bisognava prestare attenzione: si tornava su da una discesa profonda e nel giro di qualche respiro si era di nuovo pronti a immergersi. In quel tempo le notizie sul “taravana” non esistevano, il pericolo era la sincope, e se penso che tante volte non portavamo sul gommone cibo e pochissima acqua per tutta la giornata, dalle 8 alle 20, mi viene naturale pensare che siamo stati fortunati a non incappare mai in un incidente. Ricordo che la sera, in taverna, prima di farci portare la cena ci scolavamo un paio di caraffe d’acqua e un paio di cestii di “pso̱mí” (il pane)! Sembravamo due disperati che non mangiavano da mesi! Il cameriere ci conosceva e quando ci vedeva arrivare un po stravolti (pensate che da giugno a settembre avevamo perso una decina di chili di peso a testa) non ci faceva trovare il tavolo sguarnito!
La cattura “speciale”. Con il mio amico Luca ci trovavamo su una cigliata pazzesca, un posto dove il gradino dai 23 metri scendeva quasi a 90° nel blu, oltre i 60. Milos in questo sito ci aveva riservato la cattura di un altro grande dotto, un gigante da 11 chili, ma i pesci che lo frequentavano spesso erano i dentici, molto grossi. Non riuscivamo a catturane neanche uno. Ci provammo per diversi gironi, nulla da fare. Il problema era trovare un posto, non c’era un buco dove nascondersi. Tutta roccia a lastre, liscia liscia. E se il dotto era caduto grazie ad un mezzo agguato fatto proprio sull’orlo, nel gioco a rimpiattino il bel serranide si prese l’asta da 7 mm del Cressi SL 95 in mezzo agli occhi senza quasi rendersene conto, per i dentici l’approccio era impari. Anche a Milos si dimostravano pesci tosti. Una sera, quasi buio, ci ritentai. Feci un aspetto curioso ma razionale, che poi ho messo in pratica negli anni, in altre occasioni simili. Calcolai a stima metrica la distanza approssimativa dall’orlo della caduta, mi posi a circa 4/5 metri all’interno e mascherai il viso con la mano sinistra, la destra teneva il pneumatico sdraiato raso fondo. Ero scoperto, del tutto, ma fermo, immobile. Il branco di dentici passò nel blu, come sempre, imprendibili, ma un esemplare transitò proprio sul bordo. Al limite, della gittata del mio strumento d’offesa letale. Lo intravidi a malapena sbucare con il muso raso la pietra, come se sapesse che non potevo nuocergli ma non appena si allineò alla volata scoccai il tiro. Lo passai da parte a parte, sulla sommità del dorso, le passate di nylon si distesero, fortunatamente la doppia coppia di alette confezionate a mano da un mio amico di Torino, Adriano, trattennero il pescione, e riuscì a recuperalo! Una soddisfazione incredibile non tanto per gli 8.5 chili del dentice ma per la modalità insolita di cattura. Fu l’unico esemplare catturato lì, in quel posto bellissimo. Ci provammo altre volte ma nulla, non si avvicinarono più.
Cenni di storia. Diciamo che non eravamo troppo attirati dalla storia di ogni isola però a Milos in alcuni negozietti che vendevano souvenir turistici c’erano le statuette raffiguranti la dea Afrodite, la venere di Milo, per l’appunto. La curiosità ci fece approfondire la cosa e così scoprimmo che proprio su quest’isola dell’Egeo fu scoperta una prestigiosa statua di marmo bianco. Verso i primi del’800 un contadino trovò una grotta nel suo terreno e dentro la scultura della dea, eseguita circa sette secoli prima. Era spezzata in due tronconi, alta circa due metri. Fu presa successivamente da militari turchi e poi acquistata da ufficiali francesi, e restaurata. Ora questa statua è conservata al Louvre, a Parigi. Visitando l’isola di Milos, circumnavigandola era inevitabile ipotizzare che la scultura raffigurante la bellissima dea abbia avuto origine per ispirazione di luoghi incantevoli, per l’appunto straordinariamente seducenti che a Milos erano una costante. Un’alternanza di rocce incredibili poiché si passava dallo scuro al bianco, dal rosso al marrone. E in mare queste pietre davano vita a fondali altrettanto diversi l’uno dall’altro, un tripudio di grotte, anfratti, lastre, tane.
