AMARCORD – Ep. 3

YT Ep 3 i dentici corsi3

I Dentici Corsi 1984 -1986

In Corsica, primi anni 80, non c’erano solo moltissime corvine. Avevo trovato un’altra tipologia di pesci che letteralmente mi faceva impazzire, e continua ancora oggi, a oltre quarant’anni di distanza a farmi profondamente emozionare: i dentici. Un pesce che è buonissimo da mangiare ma che soprattutto richiede una dedizione maniacale per comprendere dove trovarlo, che esige la massima concentrazione per assicurarne la messa a pagliolo. L’appuntamento con i cari amici, nel campeggio della Morsetta, era diventato un punto fermo e inamovibile delle mie vacanze estive. E con i dentici corsi pure… Tra fine giugno e metà luglio, cercavo sempre di essere libero da impegni, ero ancora studente e ciò mi favoriva. Sotto il profilo economico, poi, continuavo a lavorare “part time” in negozio dai fratelli Bonassi e raccoglievo i soldi, e l’attrezzatura sub, per il traghetto che da Savona porto Vado mi portava allo scalo marittimo di Calvi. Tra l’ultima settimana di giugno e le due/tre iniziali di luglio potevo svolgere la pesca subacquea con il massimo gradiente di soddisfazione, un periodo eccezionale per questo predatore. Durante l’anno riuscivo ad allenarmi in vista di quelle agognate tre/quattro settimane: un po’ in piscina, a Torino, e tutti i week end possibili, festività comprese, a pesca lungo la Liguria di Ponente con gli amici Mauro, Roberto e Claudio. Battevamo i frangiflutti dell’Imperiese, qualche capo roccioso del Savonese, saltuariamente il confine con la Francia; personalmente mi ero discretamente impratichito nella pesca all’aspetto ai cefali, ai branzini. E mi piaceva parecchio! Maggio/giugno e settembre/ottobre appuntamento con i folti branchi di cefali dorini; l’inverno tutto a branzini; mesi intermedi catture saltuarie con qualche riccioletta, qualche orata, e tanta, tanta piscina.

In Corsica nei primissimi anni di frequentazione avevo scoperto dove sostavano vari branchi di dentici, numerosi punti che si snodavano tra la costa sud di Calvi e Galeria “facevano” dentici. Il primo esemplare di dentice lo presi nell’estate del 1981, negli anni seguenti qualche altro denticiotto cadde infilzato dall’asta tahitiana montata sull’SL 95 ma ciò che vedevo sott’acqua era esagerato in confronto a quello che riuscivo a catturare! Branchi con bestioni enormi, tanti pesci stimati sui 4/5 chilogrammi e qualche esemplare decisamente oltre, una moltitudine di pesi intermedi. Prenderli, però, era difficilissimo, un’impresa che talvolta mi faceva perdere il sonno. Ma ero arcigno, motivato, deciso; e mi impegnai da matti. Il fiato non mi mancava certo: ero giovane, allenato, scendevo sicuro piuttosto fondo, eseguivo apnee protratte spesso oltre i 2 minuti ma non riuscivo a capire come posizionarmi sul fondo, come dispormi, l’attimo giusto in cui premere il grilletto. E non era neppure colpa della misura del fucile ad aria che possedevo: quelli di pezzatura media ogni tanto li beccavo, c’era dell’altro, sicuramente. Insomma una serie di difficoltà che hanno richiesto anni di dedizione assoluta per venire a capo della spinosa questione. Ascoltavo consigli, leggevo le riviste, cercavo spunti e suggerimenti dai pescatori più esperti ma davanti a un branco di dentici in avvicinamento ci volle la svolta guadagnata e sudata immersione dopo immersione, apnea dopo apnea, battuta dopo battuta. Prima di tutto mi resi conto che la sera era il momento più propizio per avvicinare i dentici. Dopo le 17 sino al tramonto si trovano i branchi che assommavano attorno alle rimonte del fondo, alla base della franata sulla destra dello scoglio a fine baia, sull’orlo in prossimità della mitica tana di corvine, in vari settori prospicenti l’isola che delimitava il golfo della Morsetta.

Una sera credo fosse il preludio dell’estate 1983 uscii a pesca con Luca, un ragazzo di Milano che conobbi in campeggio, e con il mio gommoncino Mirage (acquistato usato), un 3.10 mt motorizzato Carniti 9.5 HP, prendemmo il largo puntando verso Galeria. Arrivati in una baia leggermente ridossata ci buttammo in acqua. Cominciai a squadrare il fondale marino e ad un certo punto trovai un pinnacolo roccioso che si staccava di qualche metro verso la superficie con attorno banchi di castagnole a bizzeffe. Avevo finalmente capito che quando trovavo la mangianza appallata, concentrata e sollevata poco dal fondo solitamente potevo incontrare con una certa sistematicità i dentici. Un binomio inscindibile. Erano i pescetti che mi avvertivano del branco in avvicinamento: li vedevo dividersi, qualche volta sollevarsi, e dopo qualche istante una serie di corpi rosa/azzurri e musoni arcigni accorrevano verso il pescatore. Conoscevo al millimetro la gittata utile del pneumatico SL 95 Cressi Sub, ottima per lo scopo. Anche in quella serata illuminata dal sole rosso all’orizzonte capitò la solita scena. Preparai il tuffo per bene, controllai che le due alette lunghe fatte artigianalmente fossero libere di aprirsi sull’asta, e poi discesi pinneggiando deciso. Giunto a fianco dello spuntone di roccia con bella caduta di massi vicina mi immobilizzai. Passarono alcuni secondi e improvvisamente, sulla mia sinistra, le castagnole si aprirono come le tende di un sipario teatrale; forse solo un po più veloci di due pesanti drappi in velluto… ed ecco la visione da cardiopalma dei dentici in lontananza che mi puntarono in massa. Ne scorsi una trentina, forse ce ne erano altri dietro, una roba da mandare letteralmente fuori di testa! Senza quasi farci caso, istintivamente, arretrai lentamente, a nascondermi un po’ meglio del solito, e mi inserii tra due massi appaiati, sino quasi a non vedere più i pesci. In quel momento si verificò il “miracolo”, l’attimo tanto atteso, sperato. Davanti alla volata del pneumatico ecco ridurre la distanza qualche dentice di medie dimensioni, ma subito dietro un bel muso largo, dritto come un fuso. Li avevo incuriositi bene, con la tecnica giusta, finalmente! Provai a sparare senza aspettare che il pesce si girasse ma esitai una mancia di secondi per l’eccitazione, per la mancanza di freddezza, per lo stupore di aver fatto tutta la “procedura” finalmente per bene e il colpo raggiunse il bersaglio a metà corpo, poco dietro la pinna laterale. Le informazioni assunte, i pareri dei pescatori più esperti suggerivano di sparare di muso al dentice ma davanti alla realtà non riuscii ad applicare la regola teorica alla perfezione. Non ci riuscii proprio. Nonostante ciò non potete immaginare la gioia, la felicità, il brivido emozionale che provai nell’istante in cui la freccia trafisse il grosso dentice! Il suono dell’impatto mi pare di ricordarlo ancora oggi, incredibile! Il coronamento di un sogno lungo tre anni! Ma non era ancora finita. Con il dentice non è mai finita. Il pesce iniziò a dimenarsi strattonando con veemenza, il filo in uscita immediata del mulinello si inceppò altrettanto rapidamente, si ingarbugliò attorno alla rotellina della frizione, ed io reagii con la prima azione che mi venne in testa al fine di contrastare la fuga: presi la sagola in mano e tirai con decisione. Errore madornale, imperdonabile! La trazione diretta e maldestra, sbagliata creò il patatrac. Il pesce sbattè contorcendosi, l’asta fletteva da una parte all’altra e in un attimo il denticione si lacerò le carni e fuggì a fondo, tra le pietre, scomparendo alla vista. Emersi con una rabbia in corpo spaventosa, il mio primo dentice bello grosso perso per colpa un mulinello difettoso e della mia imperizia! Urlai a squarciagola e Luca accorse subito. Iniziammo a perlustrare tutti buchi del circondario nella speranza di ritrovare il pesce ferito ma presto la luce diventò fioca e la visibilità ridotta. Nulla, non trovammo il dentice ferito e strappato. Tornai mesto all’imbarcazione e arrivai in spiaggia con un muso lunghissimo. Pensai e ripensai alla cattura mancata, il mulinello era un comune accessorio in plastica, senza un valido sistema anti parrucche e grovigli, mi resi conto negli anni successivi di cosa mi serviva davvero per non perdere più pesci. Quell’avventura, quell’accessorio mal progettato divenne un chiodo fisso e quella mancata cattura fu l’inizio della mia passione per la costruzione di attrezzatura subacquea artigianale e la personalizzazione spinta di quella di serie. Peccato! La mattina di buonora uscimmo e tornammo nel luogo abbandonato la sera prima. Il caso volle che Luca, passando al setaccio una serie di lastre comunicanti sul filo dei venti metri, trovò dopo un paio d’ore il dentice morto al fondo di una spacca. Lo recuperò e nonostante fosse “sbiancato”, non più edibile mi fece un piacere enorme vederlo, apprezzarne le dimensioni e riscontrare il punto in cui l’avevo centrato.

Ma questa fu una lezione che non dimenticai mai più. Nei giorni successivi misi finalmente a pagliolo il secondo dentice superiore ai cinque chilogrammi, preso al termine di un altro episodio un po’ sfortunato. Feci l’aspetto su un letto di posidonia, e tanta corrente, i dentici li avevo visti da galla e quando scesi l’unico posto che trovai per nascondermi fu uno sbalzo nelle alghe. Mi sfilarono davanti dei bei pescioni e quando uno di questi passò un po’ più vicino degli altri premetti il grilletto. L’asta a doppia aletta penetrò sul bersaglio, nella tre quarti posteriore, ma il dentice si liberò sbattendo, si disarpionò pur con il filo del mulinello che fuoriusciva regolarmente. Secondo colpo su una bella preda e pesce nuovamente perso a causa di un problema di equipaggiamento! Tornato a galla deluso come non mai, mentre recuperavo nylon e asta mi feci trasportare dalla corrente e dopo qualche decina di metri ecco la sorpresa! Tra il verde delle alghe notai una specchiata. Concentrai lo sguardo e vidi il mio dentice poggiato, fermo! Ridiscesi, lo afferrai forte forte, anche se non si muoveva più, e tornai al gommone in un tripudio di felicità! In campeggio i miei amici festeggiarono, si preparava una grigliata da ricordare, e l’amico Raimondo apprezzò particolarmente il mio primo dentice bello grosso!

Gli anni successivi vissi altre belle avventure, due in particolare contribuirono a farmi appassionare ancora di più a questa tipologia di pesca. Il primo un episodio incredibile, che ancora oggi mi fa pensare che il proverbio “la fortuna aiuta gli audaci” è quanto mai attuale nel nostro sport. A fine luglio feci un tuffo su una secca e vidi un grosso dentice che però non mi venne mai tiro. Provai tante poste ma nessuna ebbe uno sviluppo positivo. Partii con quel denticione…nel cervello! Durante l’inverno un agonista piemontese Gigi Caretto, mi vendette un Asso 115 della Seac, e questo fu il pneumatico che sostituii all’SL95. L’asta da 8 mm fu dotata di due alette lunghe 85 mm, artigianali, fatte a mano, il grilletto sensibilizzato. Tutte modifiche realizzate appositamente per l’esperienza che mi stavo facendo con i dentici corsi. E anche il gommone fu cambiato, passai a un BAT 3.40 metri con motorizzazione Jhonson 15 cv, sempre del tipo con pagliolo e chiglia in legno, smontabile. L’anno successivo tornai in Corsica con Mauro, il mio grande amico pasticcere, per lui la prima volta in Corsica. Dove facemmo il primo tuffo? Lo portai sulla secca dove vidi l’anno prima quel bel denticione solitario. Armai il 115 nuovo di pacca, mi ventilai e scesi sul versante ovest della rimonta, un bel tavolato che faceva un pianoro e poi precipitava fondo. C’era mangianza, l’unico punto in cui era un po’ più concentrata la trovai a pochi metri dalla caduta. Un tuffo con discesa particolarmente curata negli ultimi metri e poi fermo, fermissimo nel mio rifugio. Passarono pochi secondi quando le castagnole si sollevarono dal fondo e scartarono di lato. Vidi il profilo di un bellissimo dentice, da solo, incedere ondeggiando lentamente versa la mia postazione. Il 115 poggiato tra un ciuffo d’alga, il capo e il corpo schiacciati il più possibile. Il pesce continuò il suo tragitto e tirai mentre stava voltandosi, prendendolo benissimo! In pratica lo fulminai! Un bel bestione di oltre 8.5 chilogrammi. E qui il dubbio amletico: sarà il dentice dello scorso anno? Suppongo proprio di sì…

Il secondo episodio, altrettanto indimenticabile, avvenne una sera bellissima. Pier mi faceva da barcaiolo ed io, sulla discesa di massoni a ovest dell’isola mi impegnai per portare in campeggio un bel dentice da mettere sulla graticola del barbecue. Con l’acqua limpida e un fondale granitico ogni tuffo era un’avventura. Al termine di un lungo aspetto riuscii a sparare un bel dentice, lo colpii molto basso e senza forzare troppo il recupero lo lasciai infilare sotto una tettoia, abbastanza profonda. Ridiscesi ma quando tirai il nylon mi resi conto che era incastrato tra le rocce. Il pesce sbatteva, era bello vivo, così mi feci passare il settanta determinato a finire il dentice e recuperare con calma il monofilo. C’erano più di ventitré metri d’acqua, ero abbastanza stanco, stavo pescando dalla mattina e non vedevo l’ora di estrarre “la cena” da quel pertugio. Allungai il braccio nella fenditura e mentre strattonavo il nylon cercavo di far sollevare un po’ il dentice per poter prendere bene la mira. Il primo tentativo non fu fortunato. Il secondo ebbe un epilogo da brivido. Mezzo busto dentro la crepa, filo tra le mani, e mentre stavo per tirare il nylon sento una frustata e vedo il dentice, libero, che mi sbatte quasi in faccia per cercare di fuggire! Fa una mezza virata e parte a razzo verso la parte più ampia della tana: non so come ma d’istinto inclino la mano e sparo al volo il dentice a un passo dalla libertà. Il caso volle che fu centrato bene, questa volta, e lo riportai a galla, incredulo…

Morale, poi accurata e stabilita negli anni a seguire, nel diario personale intimo:

“finché il dentice non è steso sul pagliolo del gommone, è preferibile non cantare vittoria…”!

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