Ricorso AMP Capo Testa: ha Perso la Pesca Sub, ma anche gli Italiani
Ancora una volta la pesca in apnea ha perso. Ma hanno perso anche gli italiani.
La sentenza del TAR Sardegna ha respinto il ricorso contro l’istituzione dell’Area Marina Protetta di Capo Testa–Punta Falcone. E con questa, un’altra vasta area di mare ci viene interdetta e un altro ente inutile altro graverà sulle tasche del paese.
Il ricorso puntava principalmente sul fatto che, secondo i ricorrenti, non c’era stata sufficiente informazione e non fu considerato il parere negativo di una consultazione popolare; fu anche “glissata” la richiesta di una nuova consultazione popolare.
Molte altre questioni furono presentate a suffragio del ricorso, come ad esempio:
- al centro dell’AMP scarica il collettore fognario di S. Teresa;
- sulla costa è previsto uno sviluppo edilizio di decine di migliaia di metri cubi;
- i precedenti studi dell’Università di Sassari risalgono principalmente alla fine degli anni ’90 e solo in tempi recenti sono state condotte da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) delle rilevazioni a dir poco inconsistenti (solo 6 immersioni in due piccole aree). Ciò apre la porta al sospetto che siano state finalizzate solo giustificare la decisione già assunta sulla realizzazione dell’AMP.
Su questi temi la sentenza ha formalizzato che il problema delle fognature e dello sviluppo edilizio potranno trovare soluzione proprio per la presenza dell’AMP. Come se per incanto le feci scaricate dai vecchi e nuovi insediamenti diventassero agenti disinquinanti in quanto ricadenti in una AMP. Non sarebbe stato meglio dire allo stesso Comune – prima mettete in ordine, poi, magari, ci faremo l’AMP?
E ancora: il TAR non ha potuto che ritenere inattaccabili le tesi di ISPRA in quanto è l’Ente supremo in fatto di ricerca e protezione ambientale. D’altro canto di chi dovrebbe fidarsi il magistrato per avere un parere se non della massima autorità del paese? Non è infatti compito ne competenza del TAR stabilire se i rilievi condotti furono eseguiti con perizia e con sufficienti risorse. Non è quindi in grado di valutare se ISPRA sia magari un covo di talebani ambientalisti terrapiattisti, o un carrozzone parassitario di incompetenti scaldasedie, piuttosto che l’Ente qualificato che è.
Ma viene spontanea una domanda: se i rilievi condotti venti anni addietro sono stato confortati dalle rilevazioni recenti, che bisogno c’era di istituire una AMP enorme per proteggere un ambiente che si è ben difeso da solo? Non sarebbe stato meglio intervenire sugli scarichi incontrollati a mare come fognature collettate e non collettate e sugli sversamenti di acque di “prima pioggia ”a mare?
E c’è dell’altro: la sentenza ci ricorda che negli iter istitutivi non è prevista una votazione della popolazione per sapere se sia d’accordo o meno. Sancisce la sentenza: “Le norme citate non prevedono che la popolazione sia “consultata prima di avviare il procedimento per la istituzione della AMP”, prevedendo invece che “il pubblico interessato” sia informato nella fase iniziale del processo decisionale in materia ambientale”.
Si dimentica così che il c.d. pubblico interessato fu costituito da operatori convocati direttamente dall’Amministrazione comunale e da ISPRA. Aggiungiamo noi, la popolazione tutta ancora una volta non conta, come disse il Marchese Del Grillo. E come non notare che vengono ritenuti validi gli studi del 1999 e non fu tenuta in conto la ferma opposizione della popolazione manifesta nel 2005/6, così come è stata dimenticate la delibera nella quale l’allora sindaco Baldanzellu metteva la parola fine al progetto di AMP (G.C. n° 74 del 17/07/2006) ?
Ancora più incredibile è asserire che ci fu comunicazione e confronto in quanto ISPRA provvide ad una seconda stesura della zonizzazione. In effetti, fu predisposto/inviato/presentato da alcuni dei ricorrenti un progetto nel quale si proponeva una diversa zonizzazione e alcune proposte per la stesura del Regolamento. Inutile dire che tanto la zonizzazione proposta, quanto i suggerimenti forniti non furono tenuti in nessuna considerazione.
La frittata ora è fatta e, a meno che il Ministero dell’Ambiente, nella persona del ministro Costa, non si decida a ridimensionare il potere dell’attuale dirigenza ministeriale, continueremo su questa strada.
Ci troviamo infatti di fronte a una pletora di funzionari che acriticamente sono contrari a caccia e pesca ricreativa, non considerando che il principio di massima precauzione da loro invocato dovrebbe essere corroborato da rigorose analisi di sostenibilità di queste attività. E nel caso di questa AMP è dimostrato dal ISPRA stesso come sia inutilmente applicato.
Ci preme anche ricordare che il divieto (mai scritto) di proporre nei regolamenti dei Parchi e della AMP la pesca subacquea tra le attività il cui divieto è derogabile al pari di altre tecniche, è tuttora la condizione imprescindibile per l’accettazione da parte del Ministero dei regolamenti per queste istituzioni.
Non importa se a fronte di aree enormi dove tutto è pressoché consentito ci siano aree di tutela integrale (le c.d. zone A) di dimensioni ridottissime, spesso al di sotto delle dimensioni minime suggerite dalla letteratura. Probabilmente la somma delle aree di tutela integrale di tutte le AMP d’Italia è inferiore a quella della sola Corsica a fronte di una inutile ed enorme estensione della loro area complessiva. Forse che i contributi agli Enti gestori sono proporzionati rispetto alle dimensioni?
Da sempre ripetiamo che le AMP dovrebbero essere costituite solo da zone di massima tutela, di dimensioni opportune e ben controllate, eliminando le inutili aree di tutela minore. A quel punto sarebbe sufficiente impegnarsi economicamente per il controllo dell’area evitando l’assurda ridondanza di apparati amministrativi.
E ancora, vi pare ragionevole che se una AMP ricade in un unico Comune i contributi vengano messi a disposizione dell’Ente Gestore che poi e il Comune stesso? È forse per questo motivo che fioccano le richieste di istituzione di AMP da parte di molte amministrazioni comunali?
Concludiamo osservando che l’Italia è il paese con il maggior numero di aree marine sottoposte a vincolo ambientale, nessuna delle quali è in grado di sostenersi economicamente. Anche la loro estensione ci vede in testa a qualsiasi classifica. Solo in Sardegna c’era già la presenza di un Parco Marino e di 6 AMP, oggi diventano 7 e altre vengono proposte. Ognuna di esse ha un presidente, un consiglio di amministrazione, un direttore, una propria commissione di riserva, funzionari, impiegati e consulenti, con una ridondanza di apparati che ci fa dubitare sulla possibilità di avanzare risorse per la tutela del mare.
Ma si tratta di proteggere il mare o di creare carrozzoni che permettano agli amministratori locali di fruire dei contributi statali e costruirsi dei centri di sottogoverno?
Così non perde solo la pesca in apnea, ma perdono tutti i cittadini.