Prezzo del Pesce e Vendita Illegale del Pescato
di Fulvio Calvenzi –
Milano: siamo andati al mercato alle bancarelle del pesce, siamo andati in pescheria e poi siamo andati in un paio di supermarket. Abbiamo guardato il pesce e i prezzi e siamo rimasti colpiti, folgorati e stupefatti. Polpi surgelati a 20 euro/kg e più; freschi 25 euro/kg. Spigole cosiddette di mare (pescate) da 40 a 55 euro/kg; lo stesso per le orate. Orate e spigole allevate dai 10 ai 15 euro/kg. Calamari freschi da 28 euro/kg in su e le seppie almeno 20-25 euro/kg. Non parliamo dei crostacei e delle vongole veraci (ma anche le filippine) a 16 euro/kg.
Questo dimostra che c’è richiesta. Tuttavia teniamo presente che la flotta commerciale italiana pesca 200-250 mila tonnellate anno, dove circa 50.000 ton sono di acciughe 15.000 ton di sardine e 20.000 ton sono di vongole. Il consumo nazionale attuale è di oltre un milione di ton/anno, con un consumo procapite di 20-25 kg/anno, con una tendenza all’aumento.
Ovviamente Milano non rappresenta tutta l’Italia, tuttavia vediamo prezzi proibitivi un po’ ovunque.
Ora, senza entrare nel merito di statistiche e rilevazioni che possono essere facilmente reperite nel sito del MIPAAF, assistiamo ad un fenomeno dove, semplificando all’estremo, la richiesta aumenta, i nostri mari non producono a sufficienza e acquistiamo il pescato da altri mari. Una bella miscellanea di parametri che fanno impennare i prezzi.
A questi prezzi possiamo quindi immaginare quanto possa essere remunerativa la pesca illegale e/o non dichiarata e il suo commercio. A questo fenomeno partecipano anche in una certa misura (per ora non valutabile) i pescatori “falsamente” ricreativi che hanno il solo scopo di trarre profitto dalla pesca in mare. È una piaga che vede l’impiego di tutte le tecniche ricreative consentite dalla normativa: dalla pesca con la canna da terra o dalla barca, ai palangari e nasse tuttora ammessi, alla pesca in apnea, alla raccolta con rastrelli e setacci per la raccolta dei molluschi, ecc..
Non trascuriamo poi la pesca proibita, ovvero quella con autorespiratori che ha svariati obiettivi: datteri, ricci, cozze non allevate, pesce di fondo, nacchere (pinna nobilis) e ora perfino le oloturie.
Il nostro paese è, come definito da diversi magistrati, un paese con un alto tasso delinquenziale; e non stiamo parlando di quella delinquenza definita “comune” o quella organizzata, stiamo parlando degli “onesti cittadini” che ritengono che per sbarcare il lunario, per avidità o anche solo per rifarsi delle spese, sia accettabile non rispettare le leggi. Vale anche per chi usa il cellulare mentre guida o chi mente o evade o elude le imposte, o per chi attua corruzione o concussione. E qui ci fermiamo perché sarebbe triste e lunghissimo l’elenco dei comportamenti illegali su tutti i fronti.
La pesca ricreativa poi, un po’ come tutte le attività che comportano un prelievo della cosa comune (caccia, raccolta di funghi, asparagi e qualsiasi altra cosa di commestibile ci possa dare “gratis” madre natura) è pesantemente influenzata dalla convinzione che farlo senza limiti sia cosa buona e giusta, e che anzi un freno alle proprie capacità di ricerca e “predazione” sia un’ingerenza non dovuta a cui è del tutto legittimo cercare di sottrarsi.
Inoltre, se è vero che la domanda di pesce è in aumento, questa cresce soprattutto a vantaggio del pescato di pregio (ossia pesci di taglia e selvatici). “Merce” che la pesca ricreativa può offrire al settore della ristorazione come anche al privato. Se a questo aggiungiamo che da 1 chilo di pescato di pregio, si possono ricavare “in nero” dai 18 ai 30 euro, fino ai 50 se parliamo di crostacei, dipende dal tipo di acquirente, si capisce bene come la vendita del pescato ricreativo possa essere un business assai remunerativo. Dobbiamo anche segnalare che da qualche anno la situazione si è ulteriormente “complicata” per le autorità. L’alto prezzo di vendita al dettaglio del pescato di pregio ha visto qualche professionista inserirsi nella filiera illegale, agendo da intermediario, cioè offrendo la sua capacità di “riciclaggio” del pescato, che transitando dalla sua barca o dai suoi magazzini, diventa “tracciabile”.
Ma veniamo a quello che ci coinvolge come pescatori in apnea: stiamo pagando, e rischiamo di pagare sempre di più, lo scotto dei comportamenti illegali, spesso fieramente ostentati sui social network e osannati dal loro pubblico: personaggi che non hanno niente a che vedere con chi preleva nei limiti e fa un uso personale di quanto catturato.
Visto il livello di aggrovigliamento della matassa, qualcuno propone di permettere la vendita del pescato dilettantistico alla luce del sole, come avviene ad esempio negli USA, dietro ovviamente i necessari controlli sanitari e il pagamento di quanto dovuto sui guadagni. Non scherziamo per favore!! Noi non riteniamo che questa possa essere la soluzione: il “ricreativo” non deve essere in concorrenza con il mercato professionale. I limiti al prelievo ricreativo sono e devono essere lo strumento per garantirne la sostenibilità.
Infine, abbiamo avuto modo di rimarcare in diversi scritti e occasioni, come il contrasto in mare dei bracconieri sia difficile, costoso e statisticamente poco efficace. Non è certo qualche denuncia seppur eclatante che ferma il fenomeno. Controlli come quelli attuali “pescano” in genere sprovveduti vacanzieri, qualche diportista con dotazioni di bordo non in ordine, stupidotti che ancora attraversano le zone balneabili con il fucile in mano (i famosi 500 metri da spiagge frequentate da bagnanti) e così via.
Abbiamo suggerito più volte che il contrasto al commercio illegale sarebbe più ficcante con un’opera di “intelligence” condotta a terra intervenendo dove c’è il passaggio dei denari. Colpire il venditore abusivo, ma soprattutto il compratore-speculatore, sarebbe sicuramente meno costoso e più efficace. In fondo tutti noi che frequentiamo il mare, conosciamo alcuni di quelli che nella nostra zona pescano per vendere; soprattutto conosciamo, almeno per sentito dire, anche alcune delle pescherie, ristoranti ed esercizi vari che acquistano il pescato illegale. Ci domandiamo quindi: i “controllori” non hanno mai sentito questo tam-tam?
Di sicuro è palese che un puntuale contrasto alla vendita abusiva del pescato non è mai stato messo in atto, anche per mancanza di uomini e mezzi (come sempre quando si parla di controlli), ma forse non è stato nemmeno così decisamente perseguito dalla politica e dagli organismi di controllo.