È Primavera, Fioriscono Nuove Aree Marine Protette
di avv. Alessandro Fiumani, Presidente FIPIA
È di questi giorni la notizie che, con la firma presso il Ministero dell’Ambiente del decreto istitutivo, nascono ufficialmente due nuove aree marine protette: quella di Capo Testa – Punta Falcone (nord Sardegna) e quella di Capo Milazzo (Sicilia nord-orientale). A queste due si aggiunge la proposta di ampliare la superficie dell’AMP di Capo Carbonara (sud Sardegna – Villasimius) fino a ricomprendere le acque di competenza dei limitrofi comuni di Sinnai, Castiadas e Maracalagonis.
Sia di Punta Falcone che di Capo Milazzo, avevamo provato ad occuparci avanzando proposte alternative e prestando collaborazione a chi ha cercato a far ragionare le amministrazioni. Tutto purtroppo senza risultati apprezzabili: sia per la totale chiusura ad un dialogo istituzionale, sia per un cronico disinteresse dei pescasub che continuano ottusamente a vedere le AMP come un problema solamente quando interessano il mare sotto casa, ignorando che fino a quando non saremo in grado di costituire un compatto fronte comune, non avremo nessuna possibilità di opporci a questo continuo esproprio.
Anche stavolta il copione è stato interamente rispettato: si è partiti con lo sventolare l’esca del volano economico e turistico, favoleggiando ricadute economico-occupazionali al limite dell’inverosimile e minimizzando i divieti e le limitazioni che l’istituzione di una riserva si porta in dote. Da anni denunciamo l’assurdità di un sistema che, dietro il paravento della salvaguardia ambientale, punta soltanto ad accaparrarsi i fondi ministeriali ed europei, nel tentativo di garantire alle casse comunali un reddito di sopravvivenza.
Non è infatti un caso che quasi tutte le AMP istituende e istituite si trovino in località rivierasche che spiccano per caratteristiche paesaggistiche. Nessuna riserva è mai stata istituita sulla base di emergenze ambientali opportunamente documentate che riguardino la protezione del mare, anzi, situazioni di particolare degrado sono state motivo di esclusione da parte dell’ISPRA. Se la tutela degli ecosistemi fosse davvero prioritaria, avremmo visto chiudere anche zone e fondali marini distanti dalla costa, in quanto “nursery” conclamate di molte specie marine, o perché presentano situazioni da proteggere o ricostituire.
A fronte di una superficie lorda enorme, tutte le AMP presentano zone A, sottoposte a “tutela integrale”, di dimensioni modeste e spesso al di sotto di quelle considerate indispensabili dalla letteratura scientifica. Nelle zone a minore tutela (le c.d. zone B, C, D) è consentito praticamente tutto: ancoraggio, navigazione, piccola pesca professionale, pesca ricreativa, immersioni con apparecchiature, tranne appunto la pesca in apnea. La sicurezza non è mai una voce di costo per comuni e consorzi che, puntualmente, scaricano l’onere sulle già oberate Guardia Costiera e Corpo Forestale dello Stato.
Se poi diamo uno sguardo al sud, dove negli ultimi anni sono letteralmente esplose le richieste di istituzione di aree marine protette, non possiamo non notare che tanti comuni richiedenti, a oggi e nonostante i richiami europei, non abbiano impianti di trattamento e continuino a sversare gli scarichi fognari e le acque di prima pioggia direttamente nel mare che dicono di voler tutelare.
Una cosa è certa: al netto di tutto quello che una riserva incassa con il rilascio delle varie licenze e autorizzazioni, nessuna di esse ha la minima capacità di autosufficienza, né ha dimostrato di accrescere la propria attrattività o lo sviluppo socio-economico. Segno palese che come attrattore turistico non sono poi così favolose o, perlomeno, non più (o forse addirittura meno) di quanto i luoghi non lo siano già senza riserva; oppure che gli incassi vengono drenati dai comuni verso tutt’altri impieghi che poco hanno a che vedere con la tutela del mare.
In vari casi la Corte dei Conti ha accertato che le amministrazioni regionali non hanno fatto valutazioni ex-post sugli interventi effettuati, così da verificare il loro effetto sul territorio, affrontare le problematiche e pianificare le eventuali correzioni e i successivi interventi. Prova provata che non interessa spendere i finanziamenti per perseguire la salvaguardia, ma ottenerli per poi mantenere le poltrone e pochi posti di lavoro in bilico tra precariato e parassitismo sociale.
Sarebbe ora che le amministrazioni comunali smettessero di ovviare alla propria incapacità di creare attrattività turistica attingendo a finanziamenti che dovrebbero avere un indirizzo diverso da quello della creazione di nuovi carrozzoni parassitari. La Federazione Italiana Pesca In Apnea non è mai stata contraria alla salvaguardia ambientale, ma auspica una reale tutela che dovrebbe essere basata sul principio che il mare è un bene condiviso e lo Stato dovrebbe farsi carico integralmente della sua protezione. Siamo sicurissimi che se la gestione della tutela del mare avvenisse sulla base di criteri scientifici e le aree fossero gestite direttamente dallo Stato, nessuna amministrazione locale farebbe richiesta di istituire aree marine protette o addirittura vi si opporrebbe: questo è l’ambientalismo all’italiana.
A nostro parere l’individuazione delle zone da proteggere dovrebbe avvenire:
-
- sulla base di studi che evidenzino le emergenze ambientali da proteggere o ricostituire;
- realizzando aree di “massima tutela” di dimensioni adatte agli obiettivi fissati;
- abolendo di tutte le inutili aree attigue, o di minor tutela, che hanno il solo scopo di ingrandire le dimensioni dell’area e giustificare gli onerosi apparati di gestione;
- istituendole solo laddove NON siano presenti scarichi di reflui a mare (industriali, fognari, di prima pioggia, di porti turistici e commerciali senza impianti di raccolta dei reflui da “casse nere” e sentine, o senza un numero sufficiente di bagni presso le banchine, ecc.);
- finalizzando le spese alla sorveglianza, allo studio dell’evoluzione dell’ambiente tutelato e a misure compensative dirette, laddove l’istituzione dovesse danneggiare localmente alcune fasce sociali.
Il vero problema è che, in questo modo, le AMP smetterebbero di essere le galline dalle uova d’oro che sono oggi, e per cui tante disastrate amministrazioni comunali fanno letteralmente a pugni. Si farebbe l’amara scoperta che la tutela ambientale costa nell’immediato più rinunce che benefici e, soprattutto, che non è un investimento a breve termine, né che si ripaga in moneta sonante…e, infine, come già tristemente detto, non interesserebbe più a nessun amministratore locale.